L’immagine del potere al cinema è legata indissolubilmente alla sua forma originaria. Sin dagli albori, il senso del cinema, o meglio uno dei suoi obiettivi, è stato quello di orientare lo spettatore verso una realtà selezionata, misurata, tagliata, modificata, alterata, manipolata, in altre parole una realtà inesistente data per buona e, nei migliori casi, l’unica realtà di riferimento.

L’immagine cinematografica può quindi rappresentare per il pubblico in sala o a casa, una forma di imposizione, una visione obbligata, un orizzonte già scelto e pronto all’uso, una dittatura felice nascosta dalla bellezza degli effetti e della fascinazione delle storie, un’utopia interessante e credibile da sostituire alla vera realtà.

Il cinema nasce quindi forte, fortissimo e impone le sue idee, le sue tecniche, le sue filosofie a tutto il mondo che ne condivide gli strumenti e i mezzi, giocando insieme a lui alla fantasiosa e ipoteticamente libera “realtà alternativa”.
In questa dimensione autoritaria, affrontare il tema del potere è semplicemente un’evoluzione della natura stessa dell’immagine cinematografica, un percorso quasi obbligato diretto al cuore e all’anima del cinema.

La nostra lunga programmazione Filmstudio di febbraio – maggio, vuole quindi rendere omaggio ad uno degli aspetti più analizzati e complessi di tutta la produzione cinematografica del novecento: la costante riflessione sul potere a opera dell’immagine.
Abbiamo scelto, con cura e passione, registi e autori provenienti da tutta Europa, favorendo anche una preziosa filmografia italiana a tratti invisibile e dimenticata.

Dal nord Europa, svetta l’interessante rassegna sul cinema lituano impregnata di osservazioni sui cambiamenti delle gente e delle città a stretto contatto con dittature e invasioni violente.
Dalla Germania, il genio di Werner Herzog mostra con lucidità di pensiero le derive del potere, le conseguenze sull’individuo e sul mondo intero. Vale la pena citare, tra le opere scelte del regista tedesco, Echi da un regno oscuro, opera simbolo di tutta la nostra attenta ricerca e manifesto di un cinema che parla di dittature estreme e allo stesso tempo genera visioni personalissime.

E in Italia? Del nostro Belpaese raccogliamo con gioia i pensieri sull’importanza del “potere” di Marco Ferreri, Paolo e Vittorio Taviani, Michelangelo Antonioni, Giuliano Montaldo, Elio Petri, Ettore Scola, Roberto Rossellini e Ugo Tognazzi.
Proprio di quest’ultimo, abbiamo scelto Il fischio al naso tratto dal racconto distopico di Dino Buzzati “Sette piani”.
Il film, che vede Tognazzi nei panni di regista e attore è una metafora sull’esistenza umana ridotta a numeri e piani, una critica feroce contro la società borghese e contro il capitalismo, capace solamente di disumanizzare l’individuo e imprigionare ogni possibile sogno di evasione.
Accanto alla condizione tragica di Tognazzi, umano non più umano, si stagliano alcuni dei personaggi più interessanti del nostro cinema vittime a turno dello stato, della chiesa, della politica e della società.

Nel nostro cartellone, degni di nota sono sicuramente i personaggi interpretati da Gian Maria Volontè: il suo Giordano Bruno, simbolo del pensiero libero e l’Aldo Moro presente nel film Todo Modo, rappresentano un grido alle istituzioni, un’opposizione e uno sguardo feroce rispetto ai soprusi dei potenti; e poi ancora Tognazzi in La donna scimmia, protagonista del magnifico affresco su uno sfruttamento senza limiti, grottesco e crudele, l’allucinazione utopica di Rossellini nel meraviglioso viaggio psicanalitico di Giovanna D’Arco al rogo, l’intenso Allosanfan dei Taviani sui miti delle rivoluzioni e i crolli delle certezze, il potere dell’eros in Diario di un vizio di Ferreri con un inedito Jerry Calà e una giovanissima Sabrina Ferilli.

Renato Scatà

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